Polisportiva Santa Maria, Cerullo: “Il nostro sistema deve cambiare. Il vero valore da trasmettere e’ la passione”

Campionato fermo, allenamenti fermi. Tutto fermo. E noi allora ne approfittiamo per conoscere un pò meglio i nostri calciatori, e anche chi fa parte del settore giovanile giallorosso. Oggi tocca a Mario Cerullo, allenatore della selezione U17 giallorossa. Di seguito, ecco l’intervista integrale:

Raccontaci della tua esperienza con la Polisportiva Santa Maria.

“Santa Maria e’ un posto fantastico, veramente incantevole, una cartolina dove ho trovato una società  in continua crescita che ha tutto per far bene. L’ambiente è familiare, ma allo stesso tempo molto competitivo e ti porta a dare sempre il massimo e a metterti sempre in discussione. Lo staff è di alto livello in ogni settore, ed in cima alla piramide c’è un presidente capace, ambizioso che ha creato in pochi anni una società strutturata, dinamica e in continua crescita”.

Qual è l’arma vincente, secondo te, per la costruzione di un settore giovanile fruttuoso ed efficiente?

“Per costruire un settore giovanile c’è bisogno di uno staff di alto livello che si aggiorna continuamente e che mette passione e abnegazione in tutto quello che fa, e che magari possa seguire i ragazzi sotto tutti i punti di vista. Sarebbe molto utile avere un posturologo, un atleta molto coordinato impiega la metà delle energie rispetto ad uno meno coordinato, avere un dietologo perché credo che, specie nella società moderna, i ragazzi debbano essere educati ad una giusta alimentazione per migliorare sia le prestazioni sportive che lo stile di vita in generale. E’ utile, infine, avere un mental coach,  capace di aiutare e sostenere i ragazzi nelle loro problematiche, per migliorarne l’autostima. Lavorare in equipe tra persone qualificate fa crescere non solo i  ragazzi ma l’intero staff, e il confronto quotidiano è sempre motivo di crescita”.

Come nasce la tua passione per il calcio?

“Sin da piccolo i miei mi dicevano che in casa stavo sempre a tirare calci a qualunque cosa rotolasse, poi la vera passione è nata giocando per strada con gli amici del quartiere. Poi la scuola calcio, proseguendo nei campionati dilettanti di anno in anno, portandomi a giocare in tanti posti diversi per la regione dove oggi è bello ritornare, per riabbracciare vecchi compagni di squadra e ridere sempre degli stessi aneddoti delle stagioni passate insieme, il calcio regala amici. Negli ultimi anni dell’attività giocata ho iniziato l’avventura di istruttore educatore, iniziando con l’attività di base  per proseguire ad oggi nelle  categorie agoniste”.

Qual è, secondo te, l’aspetto più importante da trasmettere ai ragazzi?

“La cosa più importante da trasmettere ai ragazzi è la passione per questo sport , la voglia di migliorasi, di sentirsi sempre in gara con se stessi e fare di tutto per migliorasi di allenamento in allenamento. Credere nell’importanza del gruppo, perché da soli non si va lontano, avere una grande dose di umiltà, ricordando che si scende in campo sempre per imparare. E’ necessario trasmettere ai ragazzi entusiasmo e coraggio affinchè non smettano mai di credere in loro stessi e nei loro mezzi, e se il successo non arriverà tra i campi di calcio l’autostima li renderà uomini dai sani principi, capaci di farsi spazio in una società sempre più esigente”.

In cosa bisogna migliorare in Italia per quanto riguarda la valorizzazione dei giovani?

“Oggi per i nostri ragazzi è dura emergere. Le società vogliono ragazzi subito pronti senza lasciare agli stessi il giusto tempo di maturazione e crescita. Spesso evitano programmazioni di lungo corso,  pretendono giocatori pronti subito a discapito della qualità tecnica, anche se per me il calcio è tecnica, dribbling, fantasia. Oggi anche la Nazionale Italiana fa fatica a trovare giocatori bravi tecnicamente, capaci di fare la superiorità numerica. Credo che le responsabilità siano da ricercare sia nei tecnici che nei nostri giovani, che  spesso presi anche da altri interessi, mollano alle prime difficoltà. Oggi, purtroppo, l’abbandono è un aspetto drammatico del nostro sport”.

Cosa bisognerebbe instaurare, secondo te, per potenziare ancor di più il settore giovanile italiano?

“Sono convinto che il sistema debba cambiare. Nei settori giovanili professionistici i ragazzi pagano per giocare, i genitori fanno da sponsor foraggiando le società per far giocare i propri figli, gli allenatori portano gli sponsor per allenare, è un calcio malato che non premia la qualità, anzi la reprime. Basti pensare che molte squadre Primavera vengono fatte per regolamento e non per dare un futuro ai ragazzi, i quali cambiano società di anno in anno senza mai trovare l’ambiente giusto per loro dove crescere tranquilli. Tanti ragazzi superano l’età da under e spariscono dal panorama calcistico. Prima non contava l’età, giocavano quelli bravi, le società non prendevano soldi facendo giocare i giovani, oggi tanti campionati professionistici si basano sui soldi che la Federazione dà alle presenze che gli under fanno durante la stagione. Non c’è nessuna programmazione, si vive alla giornata e questa cosa sicuramente influisce sui nostri ragazzi. Io partirei da lontano: innanzitutto metterei la regola che ogni squadra debba avere almeno cinque giocatori cresciuti nel proprio settore giovanile, poi farei una regola per far giocare fisso, magari anche uno spezzone di gara, almeno un Under 21 in ogni gara”.

Un consiglio ai bambini su cosa fare a casa durante l’emergenza coronavirus?

“Ai bambini dico di non impigrirsi sul divano davanti alla tv, basta un piccolo  spazio come un balcone e prendere un pallone per iniziare a giocare. Dai un pallone ad un bambino e lo renderai felice. Godetevi questi giorni per fare con il pallone tutto quello che vi passa per la testa e, perché no, per imitare le finte o le giocate tecniche dei vostri idoli. Vedrete che con l’esercizio diventerete bravissimi divertendovi”.

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