Campionato fermo, allenamenti fermi. Tutto fermo. E noi allora ne approfittiamo per conoscere un pò meglio i nostri calciatori, e anche chi fa parte del settore giovanile giallorosso. Oggi tocca a Luigi Di Giaimo, direttore dell’area tecnica dei giallorossi. Di Giaimo nella sua lunga ed importante carriera da calciatore ha espresso tutto il suo talento con le maglie di Nocerina, Paganese, Cosenza, Taranto, Cavese e Salernitana, portando a casa spesso e volentieri degli ottimi risultati. Di seguito, ecco l’intervista integrale:
Raccontaci della tua esperienza con la Polisportiva Santa Maria.
“Tutto sta andando molto bene, anche perchè essendo il primo anno ho dovuto capire qualche meccanismo. Molto bene tutta la parte ambientale che comprende il presidente, il direttore, Carmine Di Napoli, Domenico Giannella, tutti ragazzi che con me hanno iniziato a fare calcio. A me piace rispettare i ruoli, perchè in una società è fondamentale. La Polisportiva è una buona società per la categoria, anzi, è ottima. Ad avercele in altre categorie società così. L’organizzazione c’è, ma c’è sempre da migliorare come in tutte le cose, però le competenze ci stanno. Io mi trovo bene perchè una buona famiglia, le cose vanno bene e possono migliorare”.
Qual è l’arma vincente, secondo te, per la costruzione di un settore giovanile fruttuoso ed efficiente?
“Tutti gli addetti ai lavori sanno che bisogna migliorare la parte organica, soprattutto la parte medica e posturologa. E’ tutta una situazione di mettere insieme quello che fa migliorare la struttura organica dei ragazzi. Tutto sta nel trovare i ragazzi, lavorare sul posto, perchè Santa Maria ha avuto la sfortuna di stare ferma 5-6 anni per via della situazione stadio, però fortunatamente hanno mantenuto la scuola calcio. Intorno alla struttura che ho detto in precedenza, tutto ciò che aiuta la crescita fisica del ragazzo è importante. Lo fanno crescere, e gli danno poi la mentalità giusta. Chi ha giocato a calcio sa come funziona, perchè per praticare questo sport ci vogliono le attitudini giuste. E’ vero che è un gioco, però, quando la società investe vuole vedere anche risultati, e io penso che se il Santa Maria riesce a produrre qualche giocatore importante è una grossa soddisfazione per tutto l’ambiente. Bisogna fare in modo che la società investe in maniera mirata. All’inizio è normale che s’investe, poi sarà il tempo a parlare. Se uno lavora con la serietà dovuta, non ci saranno problemi. Santa Maria di Castellabate ha anche il confitto. Una società di Eccellenza che dispone di un’elemento così significa che le cose vogliono essere fatte in una certa maniera e criterio. Il Comune di Castellabate è un’ambiente dove ti lasciano lavorare. Però, poi, ci vuole la guida anche di altre situazioni, perchè il calcio dev’essere importante per chi lo fa, però il ragazzo deve vivere la sua vita tranqulla, non dev’essere assillato nel diventare per forza un giocatore. Qui si parte sempre che è un gioco, poi ci sono da verificare tante altre cose con la crescita. La passione, l’amore, la professionilità che bisogna mettere a disposizione a fargli capire che fare il calciatore non è solamente giocare a calcio, ma anche comportamenti, lo studio, la famiglia. Oggi, se non sei capace a mettere nel cervello le nozioni scolastiche ti ritrovi senza istruzione a una certa età. A vent’anni, dopo che hanno sfruttato la regola degli under, in qualsiasi categoria ti trovi disoccupato e senza una cultura. Noi dobbiamo accompagnare questi ragazzi a una vita oltre il calcio, poi se sboccia il calciatore siamo felicissimi. C’è da migliorare in queste cose, perchè tutto funziona così. Dobbiamo avere un punto di riferimento dove loro devono essere istruiti con tutte le direttive di questo mondo. Dobbiamo perfezionare la società civile attraverso i ragazzi. Per fare tutto ciò servono gli investimenti, e io penso che Tavassi finora lo ha dimostrato. Avessi avuto io questa fortuna quando ho smesso di giocare tanti anni fa. Ho sempre definito Castellabate un punto importante per la tranquillità e la crescita dei giovani. Tavassi ha fatto una mossa molto intelligente da imprenditore serio. Questa è una società che non ti fa mancare assolutamente niente”.
Come nasce la tua passione per il calcio?
“La mia passione per il calcio nasce che all’età di 4-5 anni, siccome sono nato sulla spiaggia del Pozzillo, davanti a me avevo solamente la spiaggia. D’estate venivano i turisti e lasciano i palloni in nostra custodia per l’anno dopo. Però questi palloni non stavano mai fermi, perchè erano sempre tra i miei piedi e quelli dei miei compagni. E’ una passione nata spontaneamente. Il calcio è un gioco libero, vai su un campo grande 6-7mila metri quadrati, e tu devi trovare lo spazio per essere libero di dribblare, non farti prendere la palla. E’ una cosa innata, l’ho fatta dal primo momento. Poi è nato questo calcio che mi ha appassionato sempre di più. Da noi nel periodo invernale non c’era tanta compagnia. I muri mi hanno fatto da maestro, e ho migliorato la tecnica. Arrivava il periodo estivo e giocavamo sempre sulla spiaggia. Quella tecnica, poi, è stata acquisita man mano che si facevano i movimenti, la coordinazione. Tutto un lavoro automatico. Di conseguenza, poi, quando ho iniziato a giocare e sono andato su un campo di calcio a Santa Maria a 14-15 anni la prima volta gli spazi erano tanti e le difficoltà ci sono state agli inizi, però poi la tecnica è venuta fuori e l’ho sempre coltivata. Questa passione c’è stata fino all’ultima partita che ho disputato a 35 anni. La domenica non vedevo l’ora di arrivare a quella partita importante. Ho dovuto combattere per conquistarmi sempre il posto, non mi sono mai sentito tranquillo di essere titolare. Anche quando ero capitano di una squadra sentivo sempre il momento che qualcuno prendesse il mio posto. Quella situazione lì mi faceva stare sempre meglio, ed è stata una mia fortuna perché era un’autostima che avevo, e di conseguenza gli altri la vedevano in positivo nei miei confronti e mi davano la massima fiducia. Mi ero posto un traguardo, ossia quello di giocare fino a 40 anni, ma a causa di un’infortunio ho smesso, anche se dopo di esso ho avuto qualche altra richiesta. Io, però, mi sono voluto fermare anche per una questione di dignità. Non potevo andare in un posto e giocare solamente tre partite. Ancora oggi vivo questa forte passione: non riesco mai a vedere una partita di una squadra che mi interessa perché sono preso interiormente, vorrei essere lì a duellare in mezzo al campo. Quando ho fatto l’allenatore ero un diluvio dentro e fuori, ma non perché io gridassi, ma perché è proprio una questione caratteriale. Ero turbolente fino al momento in cui l’arbitro non dava il fischio d’inizio. Come arrivava il fischio ero alla normalità assoluta per giocare la partita. Il calcio mi ha dato amore, passione, denaro per farmi una famiglia, amicizie e tanto altro ancora. Ho sempre rispettato il calcio, quello vero e passionale, a differenza di questo moderno che lascia un pò a desiderare per via di diverse questioni”.
Qual è, secondo te, l’aspetto più importante da trasmettere ai ragazzi?
“Passione, fargli capire che il calcio tramanda altre cose. Il calcio ti fa rispettare tutti quelli del mondo esterno. Loro devono sentirsi fortunati a stare in un campo di calcio dove hanno tutta una squadra che lavora per loro, perché ci sono altri ragazzi più sfortunati e bisognosi che stanno in ospedale. Non è un sacrificio, ma bensì un’amore verso un qualche cosa. Attraverso il calcio devono capire tutte le altre situazioni buone o negative. Il mio altruismo mi ha sempre portato bene. Io compio un gesto perché mi piace e voglio farlo, poi se lo stesso individuo ha il piacere di ricambiare è una cosa in più per me. Il rispetto e la dignità sono fondamentali. Questo è il calcio”.
In cosa bisogna migliorare in Italia per quanto riguarda la valorizzazione dei giovani?
“Purtroppo ci sono gli interessi di parte. Bisogna sempre migliorare l’apparato esterno, per l’apparato interno le Federazione devono dare più spazio alle persone che smettono di giocare. In Olanda e in Belgio i giocatori più anziani che finiscono di giocare stanno vicini ai Primi Calci. I bambini sono esseri che apprendono tutto quello che gli dai e fai per loro. L’esperienza vissuta in campo bisogna darla ai bambini mettendogli a disposizione tutto quello che hai imparato nel corso della tua carriera. Io ho ricordi di allenatori che mi hanno dato tanto. Un tecnico bravo offre sicurezza al bambino anche sgridandolo per spronarlo a migliorarsi e a correggere l’errore commesso. Bisogna preparare i ragazzi in un certo modo. Il calcio è carattere. Bisogna dare ai ragazzi cattiveria agonistica da utilizzare in campo.”
Cosa bisognerebbe instaurare, secondo te, per potenziare ancor di più il settore giovanile italiano?
“Ricordo il debutto in Serie C nel 1969 a Palermo. Ho iniziato a giocare a 19 anni. Il primo anno in C potevo fare già 15-20 partite con la Salernitana, però prima c’era sempre il problema del giovane. A Salerno eravamo tanti ragazzi bravi, ma giocavamo pochissimo. Io mi sono affermato a Salerno dopo che sono tornato a 30 anni, poi ho giocato a Pagani, Cosenza, Taranto e in altri posti. Ricordo bene l’esperienza che feci, l’emozione che avevo perché era la prima volta che giocavo davanti a un pubblico piuttosto numeroso. Di bello ho avuto anche l’esperienza di aver giocato in linea contro la Juventus di Platini, la vittoria del campionato a Pagani, il campionato vinto a Taranto in Serie B, lo stesso campionato cadetto che ci fu tolto a Nocera per una serie di questioni politiche. Le amicizie, gli avversari, il rispetto. Dopo tanti anni che ho smesso di giocare, ancora oggi saluto con piacere tutti gli amici che mi sono fatto in campo attraverso i social. In ogni società che ho giocato ho lasciato sempre il segno. Ho giocato a Pagani per quasi 7 anni vincendo quasi 2 campionati, perché nell’ultimo arrivammo secondi dietro al Bari. Pagani è una città che sotto l’aspetto sportivo e passionale non posso dimenticare, perché l’affetto che hanno dimostrato nei miei confronti è stato immenso, e io ho cercato sempre di ricambiarlo con la mia professionalità. Però ripeto, l’incontro che ricordo con più piacere è quello con Platini. Ricordo che lui, quando venne sostituito, da grande professionista tornò indietro per venirmi a salutare a centrocampo. Questo fu un bel gesto di fair-play che non dimenticherò mai”.